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Cologna-Gavazzo |
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La chiesa di San Rocco di Gavazzo può essere considerata un segno del precario legame dell'uomo con la vita e l'ambiente. Il titolo richiama infatti la storica esperienza della peste che nei secoli passati ha spinto le comunità a implorare dal santo quelle grazie che la medicina non era capace di elargire. Per quanto riguarda l'ambiente c'è invece da annotare che la piccola chiesa è tuttora il simbolo di un paese scomparso e ricostruito in luogo più sicuro negli anni dopo la prima guerra mondiale. Fino a questa data San Rocco era situato nella zona franosa poco più a oriente, dove fino ai primi del Novecento esisteva anche l'antico abitato di circa duecento anime disposto principalmente lungo le strade che dalla collina di Cologna scendevano verso la piana del Varone e del Romarzollo. Non sappiamo con precisione a quando risalga la costruzione della chiesetta, anche se è pensabile che possa trovare origine più in là di quanto riportano i primi documenti. Difficile dire se può essere messa in connessione con la grande pestilenza di manzoniana memoria o meglio con qualche più antica pandemia, come potrebbe dimostrare la formella gotica ora murata sulla facciata del nuovo edificio costruito nel 1926 su disegno dell'architetto Segalla. Certo fin dall'inizio doveva trattarsi di una modesta cappella, soggetta alla parrocchiale di Tenno e poi alla curazia di Cologna. Un inventario del 1652 ce la consegna con «un altare di pietra copertina senza statua nel nicchio, una croce d'ottone e sei candelieri parimente d'ottone con sue tavolette vecchie, sei altri candelieri con tavolette, tutto di legno intagliato per le feste, con quattro palme e alquanti vasetti di fiori». Fra le modeste suppellettili si nominano inoltre poche tovaglie, due messali, un crocefisso, un lavamano, alquanti banchi e «la pala con tutto l'altare vecchio sopra la mensa». Di un altare più degno in effetti la chiesa poté dotarsi in tempi che per il tennese appaiono un poco più floridi. Nel 1740 Francesco Pasini e Giovanni Bianchetti, «a nome dell'onoranda vicinia di Gavazzo», acquistano infatti per settecento troni «tutte le pietre di diversa sorte che formavano l'altare vecchio per il passato eretto nella cappella della Beata Vergine del Suffragio in Riva», nel frattempo ricostruito da Domenico Scalvi, un maestro lapicida di Rezzato, il quale si impegnava a «condurre a sue spese li artefici, o sia periti, e da questi far ponere nella chiesa di Gavazzo in opera il suddetto altare». Nel frattempo però la chiesa viene citata negli atti visitali del 1671 con un altare e un antipendio di legno, entrambi lavorati, dipinti e dorati. Nell'occasione si menziona anche una campana che verrà depredata dai soldati francesi nel 1703, e per questo rifatta a Bressanone qualche anno più tardi. Altre annotazioni riconducono la chiesa al rapporto con gli abitanti del paese e in particolare con le famiglie abbienti. Nel 1580 Pellegrino Bianchetti lascia ad esempio a San Rocco una «cazza d'olio» e nel 1758 ancora un membro della stessa famiglia, Giovanni Pellegrino, oltre a istituire la «scola perpetua a gloria di Dio, e per buona educazione della gioventù delle ville di Gavazzo e Cologna», aggiunge alle rendite della chiesa «il suo fondo d'olivi alle Sabbionere», presso la Madonna delle Grazie, affinché questa potesse dotarsi di cera e mantenersi. Era comunque difficile per i massari della comunità far fronte ai continui bisogni di manutenzione provocati dal terreno franoso e a partire dal Settecento ogni occasione è buona per rilevare che la chiesa presenta pareti deformi e fessure pericolose alle volte. Tutto a posto per quanto riguarda gli arredi, si scrive ad esempio nel 1727, ma la chiesa, in più parti sconnessa e rovinata, viene giudicata in grave pericolo. Non molto diversa la situazione negli anni successivi, e in particolare nel 1768, quando fra l'altro per la prima e l'unica volta si nomina il cimitero situato attorno alla costruzione, dove gli alberi sono fonte di pregiudizio. Sappiamo che si tratta di «piante di morari», ovvero di gelsi, «così vicini al tetto che a pelarne la foglia», che serviva per i bachi da seta, la gente rischiava di rompere le tegole provocando danni a uno stabile già in cattive condizioni. A minacciare di rovinare a terra o sul tetto prima di tutto è il piccolo campanile, tanto che nel 1821 viene demolito e rifatto senza nemmeno attendere il consenso delle autorità ecclesiastiche. L'anno successivo si è però ancora al punto di prima. «La chiesa che parecchi anni fa era ruinosa, e che fu poi ristaurata, è tuttora nelle sue pareti e anche nel volto molto sfracellata da minacciare ruina», riportano gli atti visitali, anche se aggiungono «che nel resto sarebbe sufficientemente decente». Da qualche tempo comunque non si celebrano messe, «se non che per accidente».
Un consistente restauro viene effettuato nel 1887 a opera dell'imprenditore di Varignano Antonio Vivaldi. Nella relazione allegata ai preventivi di spesa si scrive ancora che la chiesa «minaccia di cadere». La costruzione infatti «è posta sopra un terreno argilloso, umido e cedevole, come è posto anche il paese; e come le case per questo motivo sono tutte screpolate e barbacanate, così anche la chiesa è nello stesso stato». Anche questa volta si tratta però di lavori inutili. La costruzione segue la lunga agonia del paese, il quale dopo la guerra appare ormai inadatto a ospitare gli abitanti che dopo quattro anni ritornano dall'esodo forzato nelle regioni interne dell'impero austro-ungarico Gavazzo verrà ricostruito a cura dello Stato in una località poco distante, mentre le case del vecchio abitato (Gavazzo Vecchio) in pochi anni lasceranno lo spazio alle rovine e alla campagna. «La chiesuola di San Rocco sita sulla piazza di Gavazzo sta per franare», riportano i documenti del 1920. «Essa è costituita da una sola navata con robusto avvolto intersecato da lunette all'apertura delle finestre. Il portale è rivolto a mezzodì e l'altare maggiore è in faccia. L'abside, rialzata di tre gradini, è congiunta alla piccola sacrestia costruita a sera del fabbricato. Eretta in muratura di pietrame e arenaria ha le facciate e l'interno tirate a fino e tinte, il pavimento in piastrelle in cotto, i serramenti accuratamente costruiti e incorniciata la porta principale di un contorno di pietra sagomata». E’ probabilmente l'ultima immagine della vecchia chiesa che in breve tempo verrà demolita e sostituita da quella nuova consacrata l'otto dicembre 1926. Della precedente si è conservato l'altare con la statua di San Rocco tuttora visibile sul fondo della piccola abside, forse lo stesso acquistato nel 1740 dalla confraternita del Suffragio di Riva. All'edificio precedente appartengono inoltre l'acquasantiera, nonché un angelo e la formella di arenaria raffigurante il patrono con un altro santo, o forse un pellegrino, collocati all'esterno dell'edificio. Di Mauro Grazioli, tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000. |
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