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COLOGNA-GAVAZZO |
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Il Catalogo del Clero della diocesi tridentina riporta che la chiesa di San Zenone di Cologna viene menzionata già nel 1264, che fu eretta a cappellania nel 1530 e a curazia nel 1749. Il fabbricato, come oggi appare, consta di tre parti distinte che mostrano gli interventi succedutisi perlomeno a partire dal XIII secolo. La chiesa è dunque antica: lo testimoniano il titolo legato al vescovo veronese, alcuni elementi romanici, quali l'affusto del campanile e le finestrelle a spacco nella facciata, nonché gli affreschi che compaiono all'interno e all'esterno dell'edificio. Un volto dipinto a ridosso della loggia viene in effetti datato nel primo decennio del Trecento e secondo la critica potrebbe derivare dall'ambiente di Neri e Giuliano da Rimini, «fra i primi intraprendenti divulgatori della novità giottesca». All'interno, nell'angolo a ovest e sulla parete nord della navata, si conserva invece un ciclo quattrocentesco con scene della crocifissione e le storie di Santa Brigida, mentre sulla parete a sud spicca un affresco che raffigura Adamo ed Eva sdraiati in un prato del paradiso terrestre coperto d'erbe e fiori dal quale si eleva un albero con il serpente attorcigliato. Assieme a questo, a far da contrasto appaiono la più realistica scena della Flagellazione e i Santi Caterina, Antonio abate e Bernardino. In basso, sulla sinistra, a ridosso dell'altare che copre altri affreschi, un giovane orante in abiti quattrocenteschi potrebbe richiamare il committente e nella foggia sembra confermare la data del 1471 che affiora in una scritta frammentaria in cui si menziona fra l'altro un certo «Antonius notaius de Vigo». Come scrive Bruno Passamani, nel complesso si tratta di affreschi che «attestano l'aprirsi della zona a una cultura nuova, nella quale si possono riscontrare sia elementi veronesi, collegabili all'ambiente di Giovanni Badile, sia al clima lombardo tra il Bembo e gli Zavattari». Importanti documenti scritti risalgono invece all'inizio del Cinquecento. In questa data i vicini di Cologna e Gavazzo, dopo una trafila di qualche decennio, ottengono infatti dal vescovo Bernardo Clesio il permesso di eseguire la volontà del benefattore Martino Bonora detto Fra: un ricco possidente del paese morto ne1 1505 che nel suo testamento lasciava un consistente patrimonio alla chiesa cappellania esposta della pieve di Tenno. Martino dispone fra l'altro che venga costruita una pala da collocarsi sopra l'altare di San Zenone nella quale avrebbero dovuto essere dipinti la Vergine, il Crocifisso, Sant'Antonio e San Zenone. Ordina inoltre che sia eretto un altare dedicato specificamente a Sant'Antonio, assegnandovi tutti i suoi beni mobili e immobili. Doveva probabilmente legarsi a questo altare anche il quadro di Giovanni Antonio Italiani, datato alla metà del Seicento, che raffigura Sant'Antonio e il committente, ora collocato sopra la porta della sacrestia sul lato destro dell'abside. Le disposizioni testamentarie comunque non sono immediatamente eseguite. Solo nel 1530 i vicini di Cologna e Gavazzo si recano a Trento per fare approvare dal vescovo il testamento di Martino, nel quale veniva fra il resto prevista la facoltà dei vicini di eleggere un sacerdote-beneficiato incaricato di celebrare nella chiesa di San Zenone quattro messe settimanali. L'altare dedicato a Sant'Antonio abate venne eretto dopo il 1540 e in questa data forse si pensò anche di onorare la volontà del testatore facendo eseguire nel breve spazio del presbiterio un affresco firmato da Simone Baschenis di Averaria. Un documento riportato dal Tovazzi testimonia infatti che «Ai 15 di novembre del 1544, il notaio Thome Zucchelli, Giovanni fu Pietro Bonora, Giovanni fu Alovisio da Val e Pasin fu Bartolomeo Pasini, decani di Cologna e Gavazzo, hanno fatto dipingere da Simone Baschenis, figlio del fu Cristoforo pittore de Baschenis de Averaria, una tribuna nella chiesa di San Zenone». L'importante opera andò però probabilmente perduta nel 1793, in seguito alla ristrutturazione voluta da Domenica Bianchetti.
Il testamento Bonora comunque doveva aver portato i suoi frutti. La visita pastorale del 1580 descrive infatti la chiesa con l'altare centrale dedicato a San Zenone, un secondo dedicato a Sant'Antonio e un terzo a San Sebastiano. Attorno all'edificio si trovava inoltre il cimitero citato in cattive condizioni e male accudito. Un adattamento risale ancora all'inizio del Seicento, interessando soprattutto le volte delle navate laterali, dove una rosetta posta sul soffitto di quella a sinistra reca appunto la data del 1611. E possibile che l'intervento abbia riguardato la costruzione della volta al posto di un precedente tetto a capanna del quale si intuisce forse ancora la traccia. Qualche decennio più tardi gli atti visitali descrivono così la chiesa con tre navate imbiancate di nuovo, mentre il coro è dipinto. La Controriforma anche qui, come in altri edifici sacri della zona, ha portato all'aumento delle devozioni. Al posto dei tre altari precedenti ce ne sono quattro: quello principale di San Zenone, un secondo dalla parte del Vangelo, dedicato al Crocifisso, un terzo sullo stesso lato, dedicato a Santa Margherita, il quarto, dalla parte dell'epistola, dedicato a San Sebastiano. Ci sono anche tre porte e all'interno della chiesa si trova il sepolcro in rialzo di Giovanni Battista Betta che i visitatori prescrivono di collocare all'esterno. Un'altra sepoltura è posta sotto il pavimento della navata di sinistra e riporta la seguente iscrizione: «Nel nome di Gesù e Maria. Qui sotto giaciono li ossi di Gioseffo da Valle chè è venuto al mondo per star bene e gli è giunta l'ora di partirsene con fede di star meglio. Non occorre voltarsi in drio, che io me ne vado e voi altri mi verrete drio. 1648». Una tomba, posta al centro della navata a ridosso dei gradini del presbiterio, verrà invece predisposta nel 1693 per accogliere i resti di don Andrea Donati, altro prete beneficiato di San Zenone. Le descrizioni del primo Settecento indicano ulteriori cambiamenti. Nel 1708 i visitatori parlano di cinque altari ben disposti e di una sagrestia discretamente fornita di arredi nonostante le spoliazioni avvenute per opera dei francesi durante l'invasione del 1703. Nel 1750, anche grazie ai lasciti di Francesco Ceschini, la chiesa appare abbastanza dotata di beni e da un anno è stata eretta a curazia. Nella visita si precisa che i cinque altari sono dedicati a San Zenone, Sant'Antonio Abate, Santa Margherita, Sant'Antonio di Padova e il quinto, collocato nella navata dalla parte del vangelo, a San Pantaleone. Troviamo anche scritto che la chiesa era stata ampliata e il lavoro non del tutto ultimato. È comunque nel 1793 che le volontà testamentarie di Domenica Bianchetti portano i cambiamenti rilevanti riguardanti l'allungamento e il rialzo della parte presbiteriale. Nell'occasione viene dunque levato l'altare addossato alla parete del presbiterio per ricostruirlo davanti al nuovo coro situato dietro tale altare. E fu probabilmente in seguito a questi interventi che venne distrutto l'affresco del Baschenis ancora parzialmente visibile nel 1770.
Da quest'epoca poco è cambiato sia all'interno che all'esterno. Sappiamo che il cimitero situato attorno alla chiesa, nel quale in occasione della festa patronale con disappunto dei visitatori vescovili si vendevano anche dolci e cibarie, nel 1880 è trasferito fuori dell'abitato ove ora si trova. Alcune testimonianze parlano di un organo in abbandono che venne spogliato delle canne e di altri meccanismi impiegati per altri usi. Nel 1886 un furto sacrilego privò la chiesa di preziose suppellettili, alcune delle quali provenienti dal lascito Bianchetti. Nel 1889 Giuseppe Benini Bastianel fece fare la statua lignea della Madonna collocata sopra l'altare della navata di sinistra prima dedicato a Santa Margherita. Nel 1906, grazie alla donazione della famiglia Bozzoni e ad altre offerte, si provvide ad alzare il campanile dotandolo di tre campane in sostituzione delle due precedenti. Nel 1918, per la fine della guerra, la comunità fece voto perpetuo al Sacro Cuore e acquistò la relativa statua ora sistemata nel secondo altare laterale dove una dedica ricorda appunto questo voto. Al ritorno dalla Boemia e dalle altre regioni dell'Impero la popolazione locale trova però la chiesa danneggiata nel tetto e all'interno. Il curato Carlo Mativi denunciava inoltre la mancanza delle campane requisite dall'amministrazione militare nel settembre 1915, «quando la povera popolazione languiva nei campi di concentramento». Ha dunque inizio una lunga trattativa per ottenere dal governo la refusione dei danni; un percorso concluso nel 1931 con la benedizione di quattro nuove campane, in buona parte frutto delle offerte della comunità locale e di parecchi emigrati in America. Tre anni prima Vittorio Bonora, residente in Canada, aveva intanto donato una quinta campana più grande che cominciò a far sentire i suoi rintocchi nel maggio del 1929. Sono di questi anni anche alcuni interventi come la decorazione interna, la chiusura della seconda porta d'ingresso nella navata di destra, la rimozione del pulpito posto sulla colonna di sinistra e la sostituzione dei banchi: opere testimoniate fra l'altro da un paio di schizzi conservati nell'archivio parrocchiale. Le note più rilevanti della storia recente riguardano i restauri eseguiti nella seconda metà degli anni Sessanta che hanno permesso di portare alla luce gli importanti affreschi.
Di Mauro Grazioli, tratto da "Ecclesie, le chiese nel
Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000. |
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