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Campi |
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Risalendo i terrazzamenti che dolcemente portano verso il lago di Tenno e la gola del Ballino, è possibile deviare sulla sinistra e raggiungere il paese solitario di Campi, disteso sul versante est delle alpi ledrensi. Ecco un altro paese che è tornato a rinascere; si sono restaurate molte case, caratterizzate dai lunghi ballatoi in legno e dall'utilizzo frequente del granito. A Campi ci sono due chiese, edificate in epoche diverse ed entrambe dedicate a San Rocco. La storia dell'antica chiesa di San Rocco inizia il 27 aprile del 1542; nel palazzo comunale di Riva vi è una riunione per decidere dove fosse meglio costruire una chiesa (si parla, con molta enfasi, di un tempio) da dedicarsi a San Rocco, dopo che era giunta l'autorizzazione del principe vescovo di Trento. In questa riunione non si parla mai del paese dei Campi ma degli abitanti «in montibus Rippae», sui monti di Riva. E per il momento non si stabilisce nulla; il consiglio prende invece una decisione il 31 maggio dello stesso anno, stabilendo un luogo che recasse il minor danno possibile alla "spettabile" Comunità di Riva. Gli atti visitali del 1912 forniscono notizie importanti circa l'edificazione della chiesa: «Ne fu incominciata la costruzione nel 1563, come lo prova l'istrumento di fondazione (Rogito Lazzoli) esistente qui in copia, e fu condotta a termine nel 1567, tale essendo l'anno dell'era volgare impresso sull'architrave della porta della chiesa». Occorre arrivare alla sacra visita del 1636 per trovare una sua descrizione. «Fu visitata la chiesa di San Rocho alli Campi, Pieve di Riva, e fu commisso che quella statua di legno difforme che si ritrova sopra l'altare sia levata et sepolta [...] che sia provvista d'una patena, d'un messale delli riformati e paramente di camese, corporali e tenendo il tutto più netto. Che sia levata via la terra del Cemeterio dalla parte del Choro, acciò non scenda humidità, tagliando i boschi et alberi che sono nel detto Cemeterio». Si è registrata più volte in questo volume l'incuria con cui venivano tenuti molti cimiteri, al punto che forse varrebbe la pena non licenziarla con una semplice segnalazione, ma ragionare su di essa in modo più approfondito. Una sola riflessione nasce immediata, la più semplice e la più scontata: in tempi in cui l'esistenza dei viventi era caratterizzata dall'estrema precarietà, e ogni anno strappato alla morte era una conquista, rimaneva forse poco spazio, se non quello di una preghiera, da dedicare all'attenzione e la cura verso chi aveva lasciato la terra per raggiungere il paradiso. Come a Drena, a San Martino, a Varignano, a Gavazzo, anche a Campi gli alberi crescevano dentro il cimitero, e non erano cipressi. Saranno stati noccioli, faggi o castagni, come altrove erano viti, olivi e gelsi; piante per i vivi, non per i morti! Ma torniamo alla chiesa di San Rocco; nel 1694 si rileva che l'altare era consacrato, che l'antipendio era da rinnovare e che le grate lignee del confessionale erano da rifare. Il giorno 27 febbraio del 1723 il visitatore si reca a Campi; dalla descrizione della chiesa si rileva che vi era all'interno una raffigurazione del Santissimo Crocifisso. Si interroga anche il sacerdote Giovanni Fenici, beneficiato di Campi. Egli afferma: «Io non ho cura d'anime ma solo son condotto da questi vicini per dirli la messa, et ascoltare le loro confessioni e farli la dottrina cristiana [...]. Vivo in casa Malacarne aspettando che li vicini mi provvedano di una abitazione». In merito a questo sacerdote, l'arciprete di Riva afferma, nelle sue note informative, che egli assisteva diligentemente gli abitanti di Campi; vi era un unico neo nella sua condotta: «qualche volta beve oltre il bisogno». Si arriva così al 1750; il visitatore vescovile trova la chiesa sufficientemente dotata si suppellettili e arredi, con un altare; l'unico problema che permane è quello delle grate lignee al confessionale che vengono ritenute non sufficientemente larghe. Un passo significativo per la comunità di Campi viene vissuto nel 1763. «Nel nome di Dio correndo l'anno di nostra salute millesettecento e sessantatre indizione 11 il giorno di Domenica li 29 del mese di agosto nella villa delli Campi, Pretura di Riva, Diocese di Trento e nella venerabile chiesa di San Rocco del luogo medesimo [...] hanno costituito vero, certo e indubitato fattore, procuratore e amministratore il presente Tommaso figlio del quondam Giovanni Lorenzi dalli Campi, cittadino e abitante di Riva presente, che questo carico accetta a effetto di porre nell'accennata chiesa di San Rocco delli Campi il S.mo Sacramento e Battisterio, ricorrendo all'eccelsa Rev.ma Superiorità di Trento per ottenere il Placet e trattando col Rev.mo S. Arciprete di Riva, facendo le spese occorrenti per il S. Tabernacolo e vaso per le acque battesimali». In quell'anno quindi si concede al curato di Campi dI tenere il Santissimo in chiesa e di battezzare. Si stabiliscono ovviamente delle norme da rispettare: il curato doveva comunicare i nominativi dei nati e dei defunti al parroco di Riva, doveva presenziare alle funzioni che si svolgevano nella parrocchiale di Riva il Giovedì Santo e nella festa del Corpus Domini, doveva versare 7 troni ogni anno all'atto della consegna degli olii santi. La gente di Campi doveva ovviamente impegnarsi ad assicurare le somme per l'acquisto di olio e cera.
Nel 1768 gli altari presenti nella chiesa sono due; l'inviato del vescovo esamina il tabernacolo e il sacro fonte «et nihil emendandum inveni». Il vaso con i sacri oli per l'estrema unzione viene conservato nella casa canonicale, per comodità del sacerdote essendo la chiesa assai distante dalla sua residenza. Nel 1811 si ha notizia dell'inizio della costruzione della nuova chiesa di San Rocco. L'arciprete di Riva, monsignor Filippo Visintainer, scrive una lettera al Vescovo di Trento per invitarlo ad accogliere la richiesta di Giovanni Lorenzi, «sovrastante alla fabbrica della nuova chiesa dei Campi», tendente a ottenere che, per sicurezza e decoro, il Santissimo Sacramento fosse ancora conservato nella vecchia chiesa. Nella stessa lettera l'arciprete di Riva chiarisce che si era progettato di costruire una nuova chiesa perché l'antica poteva contenere appena un terzo della popolazione. Una lettera scritta il 28 settembre 1812 dal curato di Campi, don Francesco Bonomi, al podestà del Comune di Riva per ottenere un sussidio per il cantiere della chiesa dopo un rifiuto ricevuto dalle autorità governative ci informa sullo stato dei lavori: «Questa popolazione [...] ha potuto chiudere una parte di detta chiesa, ma con assi e tetto posto sulle muraglie inalzate alla metà, a riserva del presbiterio che si ha portato a perfezione; e con ciò furono non solo esaurite l'offerte de' particolari, ma incontrò debiti per maestranze, copi e feramenta». Occorre arrivare al 1820 perché i vicini di Campi si decidano a intraprendere la costruzione della volta. Il giorno di Natale di quell'anno essi chiedono il permesso al podestà di Riva di tagliare legna a partire dal "tovo delle stelle" da ardere in una fornace per la calce. Il podestà Capolini concede questo privilegio ma dopo qualche mese lamenta il fatto che la legna, destinata alla "calchera", aveva preso altra strada; «non putendo quest'arbitrio esser onorevole né alla Comune, né alla Chiesa, sono essi chiamati a render ragione di tal legna». E in questi anni che il massaro della chiesa di San Rocco, Giovanni Lorenzi, decide di acquistare il pavimento del presbiterio, l'altare, la balaustra e il coro della soppressa chiesa di San Francesco di Riva. Nel 1827 si torna ad avere notizie della costruzione della nuova chiesa. Il cantiere doveva essere prossimo al completamento dell'opera. Infatti il decano di Riva su invito del vescovo visita la chiesa, trova l'altare maggiore «in ottima forma» e poi aggiunge: «solamente il sacro fonte battesimale fu messo fuori di servizio per la continua fabbrica della Chiesa e l'acqua battesimale si conserva con diligenza e sotto chiave nella sacrestia [...] il pulpito manca, ma sarà fatto finita la fabbrica della chiesa». Questa visita rappresenta, con i documenti che vengono stilati in quell'occasione, una fonte preziosa per avere notizie circa la comunità di Campi. Il curato della frazione, don Romedio Chini, rispondendo a una sorta di questionario inviato dal vescovo, precisa innanzitutto quali e quante messe egli celebra in un anno: «messe obbligate pro populo nessuna; vi sono quelle che si celebrano con la ellemosina che si racoglie in chiesa, e una questua per le case in sufraggio dele sante anime del Purgatorio, che saranno 35 con l'uffizio da morto circa all'anno». Poi vi erano i legati Morosini e Lorenzi che sostenevano la celebrazione di circa cento messe. Il curato precisa che egli riceve un onorario di centosessanta fiorini viennesi con «il bisognevole di legna, l'abitazione in canonica con un piccolo orticello» e poi aggiunge: «senza il curator d'anime questo paese a motivo della distanza dalla parrocchia e da altri paesi sarebbe un deserto». Egli svolgeva anche la funzione di maestro «al meglio che sia possibile ma per tante classi e un solo maestro non può essere indotta [la scuola] a uso normale; il numero dei scolari comprese alcune ragazze [interessante questa precisazione! n.d.r.] sono circa 55». Ma questo è l'anno in cui gli abitanti di Campi chiedono, per il loro curato, alcuni "privilegi": ricevere gli sponsali (cioè fare le pubblicazioni), celebrare i matrimoni, seppellire i morti e distribuire la comunione pasquale. Tutte queste funzioni erano fino ad allora assolte dal parroco di Riva. La risposta dell'Ordinariato vescovile aggira il problema: «Non troviamo di poter accordare la domanda del Comune di Campi [...] perché tale concessione verrebbe a offendere i diritti del parroco di Riva. Crediamo però equo e conveniente che a questi diritti il curato dei Campi venga delegato dal parroco di Riva, [...] essendo troppo incomodo a quella popolazione notabilmente distante dalla parrocchiale di portarsi a Riva per queste funzioni». E questo era un importante riconoscimento per la frazione di Campi e il ruolo del curato. Una lettera del 1838 ci dà qualche notizia dell'antica chiesa di San Rocco. Scrive Antonio Malacarne, "sindico" della chiesa: «Trovandosi l'antica Cappella di San Rocco dei Campi di questo Comune in miserabile riguardo, tanto rapporto alle muraglie, quanto rapporto al tetto, discendendo in essa in tempo di pioggia continua acqua rovinando o fraccidando le muraglie pella mancanza di non poche tegole e di alcuni trabbi sostenenti il tetto: e siccome pella di lei antica consacrazione e pell'indispensabile bisogno di questa popolazione dal R.mo Ordinariato fu proibita la demolizione, pria che venga decadere in pegior stato, questa fabbriceria facente le veci di capo-villa suplica umilmente questa lodevole Carica a voler ristaurare questa antica comunale Cappella, onde servir possa a publico culto».
Il giorno 6 aprile 1839 il curato di Campi, don Giacomo Vivaldelli, e Antonio Malacarne, sindaco della chiesa, compaiono davanti al podestà di Riva Carlo Martini per esporre il desiderio di quella comunità di erigere il campanile a fianco della chiesa «essendo le campane appese a due legni anche questi ormai ridotti fracidi». Essi avevano raccolto la somma di 150 fiorini, ma questa non bastava. Avevano inoltrato allora richiesta al Magistrato distrettuale, ma non era giunta alcuna offerta. Chiedevano quindi sovvenzioni al Comune di Riva; il podestà Martini, dimostrandosi persona sensibile e generosa, «trova intanto in nome proprio di destinare a pro del fondo del campanile il restante suo onorario di podestà per l'intero triennio, meno però fiorini 100 già da esso destinati a pro della chiesa di Santa Croce». E così accanto alla nuova chiesa viene eretto il campanile. In quello stesso anno, il 10 di settembre, il principe vescovo Giovanni Nepomuceno Tschiderer consacra la nuova chiesa di Campi. Nel 1853 viene collocato in chiesa il maestoso organo, opera di Michele Boccagni. Nel 1860, grazie a un finanziamento insperato di 60 fiorini, si realizzano dei banchi in legno. Tutte queste spese sostenute per la chiesa stanno a significare un fervore non indifferente e anche la disponibilità economica di alcuni abitanti di Campi. Dopo qualche decennio un fatto nuovo viene a sconvolgere la quiete di quel villaggio di montagna. Nell'estate del 1866 a Campi arrivano i garibaldini e vi si stabiliscono per 17 giorni, dal 25 luglio al 10 agosto. Le reazioni in merito a questa presenza sono diverse. Vi è chi li accoglie come dei liberatori e in ricordo di quello storico passaggio si fonderà la banda della valletta dei Liberi Falchi; altri guardano con sospetto a questo esercito irregolare e, peggio ancora, vengono scandalizzati dal comportamento dei garibaldini. Di certo le fonti storiche ci informano di un comportamento sacrilego nei confronti della chiesa del paese; atti esecrabili per i quali, passata la bufera garibaldina, si ritiene opportuno benedire nuovamente la chiesa di San Rocco. Così recita la lettera inviata dall'Ordinariato vescovile al parroco di Riva: «Essendo stati fatti dalle truppe nemiche nella chiesa consacrata dei Campi di Riva tali atti che si ponno riguardare come maliziose e sacrileghe profanazioni, si giudica opportuno che per la edificazione del popolo e per ispirare riverenza al sacro luogo essa venga riconciliata». Nel novembre del 1868 l'edificio della chiesa viene trovato più che soddisfacente così come il campanile con il suo concerto di campane. Nel 1912 il principe vescovo monsignor Endrici compie la visita pastorale a Campi. Molto schiette sono le sue annotazioni: «Campi è un paese che non gode buona fama [...] L'impressione che se ne riceve è di gente rozza, che ha una fede un po' languida, ma non ha sentimenti cattivi. Essi sono interessati alle loro tradizioni e a interessi terreni più che altrove, perciò non frequentano gran che la chiesa, non ricevono che raramente i SS. Sacramenti, non sono diligenti nel mandare i loro figliuoli all'istruzione religiosa. La moralità però è buona e questo è un buon termometro». Gli atti visitali forniscono anche qualche notizia sull'antica chiesa di San Rocco. «Fu restaurata nel 1886 e ora è purtroppo ridotta a stato deplorevole nell'avvolto, nel basso delle pareti e intorno all'altare pel visibile effetto dell'acqua piovana penetrante dal tetto e per l'umidità causata dal suolo circostante». Anche la chiesa nuova abbisognava di un restauro interno e si aspettava l'intervento del Comune di Riva che ne era il patrono, lavori che verranno compiuti nel 1924. La chiesa è posta in un terrazzo, ben visibile da molti punti della valletta di Campi. L'interno presenta un'aula unica; nel presbiterio, ampio e profondo, l'altare maggiore di foggia barocca risulta composito. Il blocco centrale è ricco di intarsi rossi su fondo bianco, contornati di un bordo nero. Il tabernacolo è elaborato nella forma; due angioletti reggono la croce centrale. Le due portine che si aprono verso il coro sono invece realizzate in marmo dalle prevalenti tonalità gialle, così come la balaustra. Agli spigoli degli stipiti sono applicate testine di angioletto. Il coro, di cui si è detto, è collocato sul retro dell'altare; al centro vi è il sedile dell'autorità massima. Viene da chiedersi a chi era riservato questo spazio o chi aveva il privilegio di accomodarsi in quegli scranni; probabilmente i membri delle ricche famiglie rivane che salivano a Campi nei mesi estivi. Il coro è sovrastato dalla grande pala che raffigura San Sebastiano, San Rocco e San Valentino ai piedi della Madonna in trono con il Bambino; più in alto vi è Dio Padre che sembra far spiccare il volo a una bianca colomba, lo Spirito Santo. La tela è posta in un'elegante cornice in marmo rosso.
Sul lato sinistro, entrando, si osserva una nicchia protetta da vetro che racchiude l'antica statua in legno policromo di San Rocco. Sullo stesso lato vi è un altare barocco che presenta la statua lignea della Madonna del Rosario; i bordi della nicchia sono affrescati con motivi floreali, vi è poi una cornice rossa e infine delle colonne gialle reggono il timpano. Sul lato opposto vi è la statua di San Rocco e in un altare minore, appena contornato, quella del Sacro Cuore. Sempre su questo lato un stretta scaletta si inerpica fino al pulpito. Alle pareti della chiesa vi sono quattordici stampe oleografiche raffiguranti la Via Crucis e le dodici croci della consacrazione. Sul fondo della chiesa, sopra l'ingresso principale, vi è la cantoria con il vecchio organo. Ai lati dell'ingresso sono collocate due grandi acquasantiere a forma quadriloba, su cui poggiano le colonne che reggono la cantoria. La volta è a crociera; sull'arco santo vi è la scritta «Templum hoc in honorem Divi Rochi absolutum A. MDCCCXXVII, rest. 1924». La porta d'ingresso, trasformata dai garibaldini in tavolo da macellaio, con quei segni di taglio, fitti e mai uguali a se stessi, ricorda la storia, la grande storia che per qualche giorno si è fermata nella "magnifica comunità" di Campi di Riva. Sì è fatto bene a non cancellarli quei segni! Dalla balconata esterna alla chiesa l'occhio spazia nel verde a rincorrere la strada verso il lago di Garda. A ponente, adagiata su un prato verde dai contorni in massi di granito, riposa l'antica chiesa di San Rocco; attende un restauro che la conservi al paese di Campi e a coloro che vorranno recarsi in montibus Rippae. Di Romano Turrini, tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000.
(La vecchia chiesa di S. Rocco è stata recentemente restaurata). |
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