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San Lorenzo

La chiesa di San Lorenzo si trova all'estremità meridionale dell'abitato di Frapporta, sulla roccia dalla quale si domina la piana del Sarca e il Garda, e dove sono apparse anche alcune tracce dell'epoca romana. L’edificio è costituito da un'aula relativamente vasta sostenuta da contrafforti, frutti di lavori effettuati nel corso dei secoli che lasciano comunque trasparire il primitivo impianto romanico messo a nudo dagli interventi eseguiti a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Già a una sommaria ricognizione le tecniche costruttive che caratterizzano l'abside semicircolare rivelano i «valori di ordine e ritmicità che contraddistinguono inconfondibilmente le opere romaniche appartenenti al XII secolo». Indicazioni ancora più interessanti derivano poi dai fregi lapidei a treccia, alternati a motivi geometrici e fitoformi, che partiscono l'esterno della stessa abside e si riferiscono a una più antica chiesa, databile perlomeno tra i secoli VIII e IX. Nelle strombature delle tre finestre si notano inoltre i resti di due timpani triangolari e di un pluteo altomedievale, mentre le lesene ornamentali, ora purtroppo incomplete, testimoniano un probabile terzo timpano della stessa epoca. La decorazione è caratterizzata da rosette e da fregi a intreccio entro i quali si intravede una croce fiancheggiata da due pavoni che ricordano la classica iconografica longobarda.

San Lorenzo mostra la sua preziosa antichità anche all'interno, dove rimangono i resti di pregevoli affreschi di epoche diverse. Tra i più importanti quelli rinvenuti in occasione dei citati restauri che hanno parzialmente rimosso altre decorazioni del XIV secolo. Si tratta di una trascrizione iconografica della Passio Polycronii che documenta il martirio di San Lorenzo, steso a morire su una graticola in seguito alle persecuzioni di Decio: come del resto attesta la stessa scritta «Decius Caesar» accanto a quanto rimasto di un personaggio assiso in trono che dovrebbe rappresentare lo stesso imperatore. Il ciclo eterogeneo, che si apre a sinistra con la lotta di San Giorgio con il drago, si presenta frammentario ma sufficiente a farci intravedere i topoi leggendari del martirio di San Lorenzo e di San Romano: quest'ultimo chiaramente riconoscibile nella scena ove il boia è pronto con largo gesto a calare la spada sul collo del santo che si mostra con gli occhi sbarrati nel secondo registro a sinistra dell'arco trionfale. La lettura di questo ciclo in un primo momento ha indotto Nicolò Rasmo a proporre una datazione a ridosso del terzo decennio del secolo XI e successivamente a cavallo fra i secoli XI e XII, considerando comunque gli affrescanti nell'area di influenza artistica veneto-lombarda. Altri studi più recenti hanno proposto canoni estetici provenienti piuttosto da Salisburgo e dai prototipi dei codici ottoniani, nonché una datazione spostata verso la metà del XII secolo, quando «anche nel Trentino meridionale, come nel veronese, operavano diverse botteghe, della cui  attività sono fortuitamente sopravvissuti solo gli affreschi di Tenno e Mori, ma le cui opere dovevano decorare ogni edificio sacro in modo che i fedeli, anche se analfabeti potessero apprendere attraverso le immagini la dottrina della chiesa».

Ma non è tutto. Il catino absidate è impreziosito da affreschi gotici che raffigurano il Giudizio universale e un Cristo in mandorla attorniato dai simboli degli evangelisti.

Come documentano i cartigli si tratta di pitture eseguite nel 1384 dal veronese Giuliano d'Avanzo su commissione di alcuni rappresentanti della comunità di Tenno e delle Ville del Monte.

Altri affreschi sulla parete della navata occidentale, fra i quali  una Madonna con Bambino, risalgono invece ai primi anni del XVI secolo e sono forse da mettere in relazione con il soggiorno tennese del cardinale Adriano Castellesi da Corneto, il quale è fra l'altro richiamato in una dedica sbiadita sulla parete destra della navata che ricorda alcuni interventi all'edificio, nonché nello stemma e nell'iscrizione del timpano di pietra bianca scolpiti al di sopra del portale rinascimentale che immette nella chiesa".

Non furono certo anni facili quelli a cavallo fra il Quattrocento e il Cinquecento per il tennese, e in particolare per l'area antistante il castello, visto che questo territorio costituiva il punto avanzato della presenza vescovile, allorché l'alto Garda, a esclusione di Arco, era in mano alla Serenissima. Nell'Urbario del 1531 si dice infatti che nella chiesa di San Lorenzo si trovano quattro medie colubrine, il che fa pensare che la cappella non servisse solo per le pratiche religiose. Le descrizioni sistematiche dell'edificio datano a partire dal Seicento, quando gli atti visitali ci informano di alcune caratteristiche architettoniche e della disposizione interna. «Est ecclesia sive cappella satis magna ex una tantum navi, tam in fornice, quam in pavimento laudabilis, et recenter tota dealbata», riportano i documenti, allorché si è forse da poco provveduto a rialzare i muri perimetrali dell'aula e a costruire gli avvolti nella navata, rifatti probabilmente nell'Ottocento e rimossi in occasione dei restauri effettuati nel 1954. La relazione testimonia anche la presenza di tre altari: quello maggiore dedicato a San Lorenzo; gli altri due a San Rocco e a Santo Stefano: «omnia tria quamvis antiqua factura utrumque venuste depincta». Non sono altrettanto buone le cose nel secolo successivo e la chiesa viene utilizzata sempre meno. L'umidità intacca la parete a settentrione e valgono probabilmente a poco le raccomandazioni dei visitatori vescovili, i quali ordinano di scavare il terreno circostante così da evitare che si formino ulteriori infiltrazioni d'acqua. Lo stesso prete beneficiato e il suo sostituto, che dovrebbero occuparsi dell'edificio, vengono definiti negligenti e invitati a far riparare le finestre nonché a conservare meglio le poche suppellettili della sacrestia. Nel 1727 si prescrive soprattutto ai massari di rimuovere l'altare vecchio «esistente in detta chiesa» e di collocarlo in posto più conveniente, oppure alienarlo, mentre nulla si dice del più maestoso altare ligneo con sei formelle attribuite a Giovanni Antonio Zanoni che nelle foto del primo Novecento appare sistemato al centro dell'abside ed è ora addossato alla parete della navata di sinistra.

Nella cappella si dovrebbero celebrare due messe alla settimana, quale obbligo derivato dal beneficio Filippi, ma una nota dell'arciprete precisa che le celebrazioni sono effettivamente rare. Con le stesse rendite il cappellano è tenuto a far scuola ai ragazzi, «che può consistere in quattro o cinque fanciulli al più», compito che nel 1768 viene soddisfatto da don Tomaso Ghezzi, per altro non troppo diligente quando si tratta di frequentare la dottrina. Il beneficio Filippi, frutto di un lascito del 1630, data in cui il titolare moriva di peste in località Resina, dove si era ritirato per sfuggire al contagio, era del resto assai ambito. Lo dimostrano i frequenti litigi fra i concorrenti che non esitano ad arrivare alle mani o alla denuncia. Proprio in questi anni don Giovanni Brunatti muove ad esempio causa contro don Giovanantonio Prati, accusato di essersi accaparrato il beneficio «con venalità e a forza di denaro», grazie alla disonestà del «sindaco dei morti», ovvero il capo della vicinia, nonché di alcuni «votanti mercenari» di Frapporta che avevano il compito della scelta.

Con l'avvento di Napoleone e poi del governo italico la chiesa, come altre della zona, fra le quali San Pietro sul monte Calino, viene sconsacrata, tanto che negli atti visitali del primo Ottocento la troviamo citata soltanto per le rendite confluite in quelle della parrocchiale. Nel 1836 viene inoltrata una richiesta all'Ordinariato «per ottenere che sia riaperta o distrutta, a salvezza dei materiali che di giorno in giorno deperiscono e a sottrarla alla profanazione, non potendosi presentemente difendere senza notabili spese». La cappella in effetti riprende la sua storia e la sua funzione nel 1840, allorché viene ristabilita e riconsacrata. A questa data si scrive che la «stabilitura interna della chiesa non abbisogna essere rimessa che in qualche parte» e che l'altare «diligentemente esaminato non si trovò menomamente molestato». Guardando oltre le righe si capisce però che si tratta di una descrizione un po' di comodo, allo scopo di ottenere il consenso alla consacrazione. «Non si hanno positivi argomenti che la chiesa sia stata polluta», continua la relazione. Ma poi si ammette che questa si trova «in luogo solitario e da molti anni a qui non si poté custodire chiuso, essendo state violentate le porte e fatte aperture nello stesso muro sia per derubare ferramenta o altro che venne di fatto a mancare». Essendo libero l'accesso è servita inoltre come rifugio per uomini e animali che provenendo «dal vicino pascolo entro vi trastullavano».

Da ulteriori notizie sappiamo che ai restauri del 1840 seguirono ad esempio quelli del 1881, documentati fra il resto dalla data riportata sul portico ad archi acuti che immette nella chiesa. L'interesse per alcuni aspetti artistici dell'edificio sembra abbastanza vivo all'inizio del secolo. Lo dimostrano fra l'altro le foto di Dietrich Kalkhoff che, occupandosi di alcune fra le più importanti manifestazioni artistiche dell'Alto Garda, ritrae anche l'abside di San Lorenzo con le lesene preromaniche intatte e gli strombi delle finestre con i resti dei plutei di cui è stato detto in precedenza. Qualche anno più tardi le foto mostrano invece l'interno gravemente in rovina, le volte della navata umide e screpolate, i materiali accumulati sul pavimento e il grande altare di legno che incombe nel presbiterio. Vengono poi i lavori degli anni Cinquanta e con questi le scoperte che rendono la chiesa una delle più importanti del Trentino.

Di Mauro Grazioli, tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000. 
 


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